Di cosa significhi avere un fratello

Di cosa significhi avere un fratello.
Azzuffarsi per anni.
Stendere veli pietosi per ricominciare sempre.
Scoprirsi capaci di confronto e sospettare l’adozione.
Confortarsi dentro il leitmotiv di cose che non cambiano e comunque ritornano.
Volersi bene ma tradurlo con dinamiche diverse da quello che i manuali scrivono.
E una mamma (di fratelli che questo fanno) dovrebbe rasserenarsi all’evidenza del trend e diventare filologa di un codice che nessun dizionario riporta alla voce: “attaccamento”.

Ma vediamo in dettaglio.
Mio fratello si è sposato in giugno. Là quando il mondo promette riscossa.
Il caldo arriva. Le ciliegie ci sono ancora. Ci sono anche le giornate invito, che non finiscono troppo presto e durano abbastanza per stendere fuori.
Che se si stendono fuori i panni allora ci si nasconde un po’ meno.
Io sono stata bravissima. Mi ricordo bene.
Ho messo un cappello e ho gestito insieme a lui tutte le mie emozioni.
Mio fratello, quel giorno, ha voluto a tutti i costi che io salissi in macchina con lui. Mica per altro, nessuna questione di supporto emotivo: diceva che se no sarei arrivata in ritardo. Durante il viaggio mi ha detto testuali parole:
«Ascolta, se ti chiedo un piacere riesci a non fare del casino?»
«Ma è ovvio!»
«Quando arriviamo davanti alla Chiesa, entra e prendimi il bouquet. La fiorista l’ha lasciato sul banco degli sposi. Tu devi solo entrare, prenderlo e portarmelo. Pensi di farcela?»
«Ma certo! Stai tranquillo!»
{Non ci credeva in fondo, ma comunque ha voluto crederci, AbbiFede}
Siamo arrivati davanti alla chiesa e lui prima di scendere mi dice: «non attaccare pezze. Vai a prendere il bouquet!».
Così: come la mamma di Cappuccetto Rosso.
Solo che io, invece che fare come Cappuccetto Rosso, sono stata bravissima. E ho obbedito. Sono andata di filato a testa dritta sotto al cappello, a prendere il Bouquet.
Ecco. Solo che lì ho trovato un mondo di mazzi di fiori. Cioè non ce n’era solo uno. A me succede spesso di non capire la corrispondenza delle cose. A me succede spesso di non corrispondere, per altro. Quindi ho preso quello più rotondo. Che rotonda per me è la gioia.
L’ho portato a Fede, AbbiFede.
Sono stata bravissima.
Ma a me succede spesso di non corrispondere.
È arrivata la sposa.
È scesa. Ha guardato il bouquet. E Fede, AbbiFede, ha guardato me. Con uno sguardo così sincero che io ho capito subito: ero riuscita a fare del casino.
Ho rifatto tutta la navata della chiesa in tre falcate.
Ho preso un altro mazzo.
Quello più lungo, come le giornate invito di giugno, che lunga è la strada quando ci si promette Amore.
E l’ho portato fuori.
Allora era quello giusto!
La foto di rito della sposa che incontra lo sposo è con il Bouquet sbagliato, quello rotondo come la gioia. Ma le altre sono tutte con quello giusto, quello lungo, che lunga è la strada quando ci si promette amore. E la gioia bisogna cercarsela (perché lei non ti segue a ruota, va inseguita, ma se si comincia che c’è, almeno la si impara a riconoscere).
E comunque abbiamo fatto progressi: AbbiFede non mi ha morsicato come quando eravamo piccini, e sono pure certa mi voglia bene lo stesso, mia cognata pure.
