Principesse? No grazie.

Ho cercato di spiegare a mia figlia che la storia delle principesse è una bazza.
Cosa vuoi mai calarti in una parte del genere? Sono tutte finite male. Dentro a matrimoni ingessati, imprigionate in castelli polverosi. Vittime della sindrome da comando passivo. Assoggettate a uno stereotipo di felicità fatta di robe che brillano di riflesso e incapaci di brillare di luce propria. Imbellettate e imprigionate dentro troppi veli, Taffetà e monotona bellezza. Non possono volare! Sono schiave passive di una verticalizzazione del dovere, non si salvano mai da sole: serve loro un principe azzurro come il cielo, visto che quello non possono toccarlo! Insomma una triste icona abilmente imbellettata.
Il tema era la maschera per carnevale! Perché sì, ho la tendenza insana a sovraccaricare le cose banali di significato e ad alleggerire del significato oppressivo le cose importanti.

Questo mi serve per stare leggera nei miei giorni canalizzando abilmente la mia pesantezza cronica.
E ho abbracciato la convinzione che le maschere di carnevale abbiano una incidenza sulla definizione della personalità. Un pochino almeno. Allora niente principesse questo giro.
Unadidue ha quindi {molto liberamente} proposto la fatina dell’amore. «E cosa fa?» Le ho chiesto. «Vola e distribuisce i cuori». È perfetta! Sì. Mi piace l’idea che, ancor prima di riceverlo, l’amore si debba distribuire.
«Mamma però qualche cosa di brillantinoso possiamo mettercelo nel vestito?»
L’Epilogo? Sono all’opera per costruirlo. .
•Tu però promettimi di provare a volare e brillare di luce tua, mai riflessa•