Sul tempo sottratto che poi non è altro che un dono

Uno dei timori che mi si schiacciano addosso come il vapore sugli occhiali quando si scola la pasta è quello del tempo sottratto.
Il tempo rubato al primogenito con l’arrivo del secondo figlio. Lo stesso rubato al secondogenito con la compresenza del primo. Quei momenti in cui ti rendi conto che il primo chiama attenzione e tu proprio non riesci a dargliela perché sei alle prese con lo spannolinamento del secondo. Quello rubato al secondo che vuole il latte e tu sei alle prese con il medicamento del ginocchio del primo che ha deciso di assaggiare l’asfalto.
Quei momenti in cui in fondo ti senti una mamma incapace.
E pensi a come fare a sdoppiarti ma proprio non ti riesce! I superpoteri non funzionano. Poi succede che un giorno ti volti e li vedi così.

E volti anche la medaglia. E ti illumini. Sul tempo rubato. Allora ti rendi conto che in fondo gli hai fatto un grande regalo inconsapevole. A tutti e due.
Perché semplicemente hai lasciato andare in scena il teatro della vita. Però in un palcoscenico familiare. Quello delle pareti domestiche. Perché in realtà nella vita non ci saranno mai i fari puntati esclusivamente su di loro. Ed è quindi un modo morbido per abituarli alla realtà. Non è una mancanza. È una lezione preziosa. È così che possono imparare a comprendere che l’essere al centro dell’attenzione non è una cosa vitale. Non è un bisogno primario. E, a modo loro, metteranno in atto tentativi per riuscire ad avere sì i fari puntati ma anche, soprattutto, per riuscire a sopravvivere al fatto che a volte (forse spesso) non li avranno!
Ne’ ora ne’ domani quando da adulti cammineranno nelle loro giornate.
E lo impareranno sulle note di una musica certamente più dolce di quella che diversamente suonerebbe fuori la realtà! {il punto esclamativo sul muro, nella foto, è la riprova}