Avvento. Semina il bello

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Ho seminato sempre parecchie cose, anche le zucchine che poi ho raccolto.
Ma ho seminato anche certe cose che poi non ho raccolto.
Perché uno semina e pensa di raccogliere ma poi in mezzo c’è il tempo degli imprevisti e delle probabilità.
Del Monopoli ne ho parlato già nel post di ieri, lo so, ma è solo per capirsi meglio.
La cosa saliente, che mi è rimasta impressa della mia prima gita scolastica, è stato che G. ha vomitato nel cappuccio di D.
Me lo ricordo perfettamente.
Nel cappuccio della felpa.
Mi ricordo anche che mi ero persa.
{Davvero}
Era stato bellissimo e da lì non ho mai più smesso.
E la maestra, quando mi ha ritrovata, mi ha detto: «Giordana possibile?».
La mia maestra.
Che io alla mia maestra gli ho voluto un gran bene.
{Davvero}
E io a quel possibile ci ho pensato spesso.
Certe cose sono possibili, sì.
Certe altre variano con gli imprevisti.
Altre ancora sono decisamente improbabili.
Per esempio avevo seminato l’idea che oggi sarei tornata a Firenze per una gita ma proprio stamattina #treditre mi ha vomitato nella felpa, allora mi sono persa. La gita. E me lo sono ripetuta: «Giordana possibile?» Sì. C’era proprio scritto virus sul cartoncino.
Ma in fondo ero attrezzata perché io a quel possibile ci ho pensato spesso.
Allora a seminare bisogna pensare al seme, alla cura, alla raccolta. Ma anche al possibile.
Che in un cammino la meta si può sempre rimodulare, sempre.
L’essere pronti a farlo, qualsiasi occorrenza si frapponga tra la terra e il germoglio, fra la partenza e l’arrivo, è una di quelle cose belle davvero.
Slegarsi dal risultato è seminare anzitutto il bello di sapersi perdere.
Allora il bello è continuare a seminare lo stesso.
Nel giorno 5 di questo Avvento ci metterei la consapevolezza degli imprevisti e delle probabilità.
Che sono gli ingredienti dell’Attesa quando l’Attesa è tarata sul bello di Vivere sempre e nonostante.