L’apologia delle mamme in spiaggia. Ovvero sulla difesa di ogni modo di essere.

Orbene. Diciamocelo. Le mamme, in spiaggia, non sono l’incontro più avvincente che si possa fare. Hanno un seguito impegnativo: i loro figli. E, spesso, una metodologia di approccio alla vita da spiaggia, che generalmente sarebbe distensiva, tutto sommato discutibile. Certamente scomoda. Almeno per qualsivoglia persona che, sulla spiaggia, ci va per riposare.
Detto questo. Pur esistendo tipologie differenti della suddetta specie, posso garantirvi che averle accanto non vi guasterà la vacanza. E vi spiego il perché.
C’è la mamma polimorfica. Quella che la vedi comparire e scopri, solo in un secondo momento, che è in quella posizione strana non perché sta facendo yoga ma per fare ombra al pargolo. E a questo pro ne anticipa ogni movimento. Quella che mangia la sabbia prima ancora che la mangi il pargolo per appurare in prima persona a cosa possa eventualmente andare incontro lui. Quella che “attento a mamma, non salire sullo scivolo che è sporco a mamma, non toccare il cane che ti morde a mamma“. Quella che, soprattutto, ha al seguito un numero indefinito di individui, che appartengono in maniera trasversale alla sua stessa nidiata: un papà, un nonno, una nonna e talvolta anche uno zio e una zia. Il pargoletto della mamma, a tal ragione detta polimorfica, è generalmente figlio unico. Ed è incredibilmente pulito e lindo nonostante la permanenza sul lido (ovviamente solo negli orari suggeriti), perché lo zio e il nonno sono preposti a lavaggi dello stesso a ogni scoccare del minuto. Si portano dietro, a tal ragione, taniche di acqua sterilizzata e disinfettanti gel pronto uso. Oltre a beni di ogni genere. La mamma polimorfica si muove nello spazio come se esistesse solo il suo pargolo. Gli altri non li vede proprio, se anche ci sono li confonde. SE proprio proprio li nota, li intercetta per raccontare loro le imprese eroiche e talore mitiche del suo pargolo. Ecco. Se vi imbattete in questa tipologia di mamma siete per lo meno tranquilli che il suo pargolo non vi molesterà. Non vi tirerà la sabbia (perché la prenderà al volo il papà col retino). Non farà pipì sopra il vostro telo (perché avrà un doppio pannolino incerato e anti macchia sotto a una muta in neoprene anti scottature). E nella fascia oraria protetta potrete stare certi che abbandonerà il fronte. Quindi avrete tempo abbondante per proseguire la lettura in pace sotto l’ombrellone.
C’è la mamma olotipica. Molto rara appunto. Esemplare talmente perfetto che sullo stesso si basa tutta la descrizione della specie. È quella radiosa. Bella dentro e fuori. Con una media di quattro/cinque figli al seguito uno più bravo dell’altro. Generalmente bionda e straniera. Nordica. Ma a volte anche italiana, proveniente dalla parrocchia di San Giovanni Bosco. In questo caso di un morbido castano. Lei è generalmente sola nella gestione dei pargoli; il marito, se lei è quella straniera, sta facendo surf e mostrando alla spiaggia i suoi trapezi perfettamente scolpiti, se lei è italiana non c’è perché sta lavorando duramente a casa per raggiungere la famiglia nel week end. E la sera aiuta per la preparazione della sagra dell’uva in parrocchia. Ecco la mamma olotipica è generalmente inginocchiata sulla sabbia alle prese con la pista per le biglie dei figli oppure, se è in piedi, sta giocando a ping pong con il figlio maggiore. Sorride al passaggio di qualsivoglia bambino e anziano. È in grado di consolare tutti: anche i figli degli altri. Generalmente si fatica infatti a comprendere quanti e quali siano i suoi esemplari in quanto, nel giro di poco, si trova circondata di tutti i bambini della zona. Che neanche quelle del mini club raggiungono numeri così elevati. La mattina si alza prima del sole per preparare tutto il necessario affinché tutto fili liscio. Rinnova la pasta madre e prepara una crostata e pasta fatta in casa, per l’arrivo del marito previsto il fine settimana appunto. Ecco. Se vi imbattete in questa tipologia di mamma siete fortunatissimi. Saprà contagiarvi con la sua radiosità. Vi farà pensare che la vita è davvero magnifica. L’unico neo è che forse, la vostra autostima, rimarrà un attimo toccata. Ma poi vedrete che un punto di cellulite riuscirete a trovarglielo. E anche una lieve smagliatura sul ventre fecondo. Quindi riuscirete a proseguire la vostra lettura in pace sotto l’ombrellone.
C’è la mamma prodromica. Capace di preannunciare. Dotata di altissimo senso anticipatore e conseguentemente rivelatrice di verità assolute. Lei si muove generalmente anticipata da un naso schierato all’insù. Ha gli occhi roteanti e spesso due giri di occhiaie. Perché le notti le passa rimuginando sulle questioni altrui. Su come sarebbe meglio si comportassero tutti. Si occupa con grande dedizione specialmente dei figli degli altri, ai quali impartisce lezioni importantissime sui comportamenti corretti. I suoi figli non disturbano affatto perché non li vedi, si sotterrano anche sotto la sabbia per sfuggire ai suoi consigli preziosissimi. Con le sue qualità di prescrizione e comando riporta l’ordine nello spazio che la circonda. È capace di riportare l’ambiente alla tranquillità perché allontana ogni specie capace di intendere dal suo perimetro. “Non si fa”, “non bisogna” e “non è educato” sono le sue parole di anticipo di ogni discorso. La riconoscete così. La sua presenza, se vi oscurate abilmente all’ombra di un libro, vi garantirà una permanenza nel rigore. Quindi riuscirete a proseguire la vostra lettura in pace sotto l’ombrellone.
C’è la mamma Ipazia. Amante estrema della libertà di pensiero. Quella che la riconosci dal costume vintage e dalla fascia arcobaleno che usa per trasportare l’ultimo nato. Quella che ha anche un cane ma non è quasi mai di razza. E non abbaia. Che parla in maniera così melodica che sembra sempre stia cantando una ninna nanna. Così riposante che nemmeno ti accorgi che è seduta vicino a te che già sei tra le braccia di Morfeo. Il suo primogenito è talmente impegnato a ricostruire con la sabbia un sorprendente esempio di vulcano in miniatura (con tanto di cratere fumante), che non lo senti nemmeno. È aiutato dal babbo barbuto e ridente che gli resta accanto parco e paziente in attesa del momento in cui dovrà appiccicare il fuoco per il magico effetto finale. Generalmente il babbo in questione ha un tatuaggio scevro sul braccio con la scritta: vivi e lascia vivere. Il neonato di cui generalmente la mamma Ipazia è dotata, non emette pianto alcuno perché, al primo vagito, lei lo attacca al seno. Praticamente allatta a intermittenza di respiro. È bravissima. Davvero. E soprattutto la sua presenza vi regalerà dei sonni speciali. Al risveglio dei quali, quindi, riuscirete a proseguire la vostra lettura in pace sotto l’ombrellone.
C’è la mamma Lazarus Taxon, altrimenti detta Phenomena. Quella apparentemente dispersa. Una specie di fenomeno strano che ha di tutto fuorché della mamma. Comunque un fenomeno vero e proprio. Capace di perdere i figli con una reiterazione veramente inspiegabile. Si riconosce perché cerca sempre il suo ombrellone e non si spiega perché li facciano tutti uguali per complicare la vita alla povera gente. Si riconosce perché ha una borsa immensa dentro la quale cerca le salviette per pulire il figlio che ha appena defecato sulla spiaggia in quanto lei si era scordata di mettergli il pannolino. Ma non le trova. E sta subendo i giusti rimproveri della mamma prodromica mentre viene soccorsa dallo zio del gruppo della mamma polimorfica che le allunga un pannolino, le salviette, l’acqua sterilizzata, i guanti e un sacchetto per il recupero degli escrementi del figlio. Che nel frattempo si è perso un’altra volta. Ma la mamma Phenomena lo ritrova nella cerchia magica della mamma olotipica, impegnato a mangiare un pezzo della sua sanissima crostata di fichi sfornata all’alba. Si riconosce perché, mentre corre all’impazzata verso la ricerca dell’altra figlia, distrugge inavvertitamente lo splendido esemplare di vulcano in miniatura costruito abilmente dal figlio della mamma Ipazia. Che essendo tale non si scompone e incalza il figlio a ricostruirne uno più bello. Si riconosce perché a un certo punto viene soccorsa dal marito che le porge una seggiola, un libro e si sostituisce a lei con esiti leggermente migliori. Ma non di molto. Perché anche lui, dotato di ottimismo cronico ma di scarso coordinamento, inciampa sullo splendido esemplare di vulcano in miniatura ricostruito abilmente dal figlio della mamma Ipazia. Richiamando altresì le severe ammonizioni della mamma prodromica ma guadagnandosi una consolatoria fetta di crostata della mamma olotipica, che stima la sua buona volontà. E vincendo anche una salvietta imbibita gentilmente offerta dal nonno del gruppo della mamma polimorfica che vuole anticipare l’eventuale inzozzamento, con le dita sporche di marmellata, delle corde dell’altalena che dopo le cinque userà il pargolo del gruppo. Ecco questa, tra le diverse specie, è la più pericolosa da incontrare. Ma state tranquilli che è appunto più unica che rara. Quasi estinta. Quasi fuori dalla specie delle mamme. E, se proprio la incontrate, tranquilli. Resta nello stesso posto veramente poco. Si dilegua spesso dalla vergogna ed emigra in altri lidi. Nel caso la incontriate regolatevi bene sull’eventuale effettivo stazionamento o sul possibile rientro al lavoro anticipato. Posto anche la foto di un esemplare della specie, per un rapido riconoscimento.

Questa è un’apologia, una difesa. Quindi spero di avervi elencato buoni motivi per non temere le mamme in spiaggia. E, in calce, mi permetto di sollevare altrettanto buoni motivi per aberrare come me il #fertilityday – la più grande scemenza che un ministero, post fascio, abbia mai partorito. Per rimanere in tema di maternità.
Perché l’essere madri non migliora automaticamente nessuno.
Non è un antidoto all’insensatezza esistenziale. Quella te la porti dietro e si estirpa con altri rimedi. E tutte le donne sanno, senza che lo Stato debba insegnarlo, che la fertilità ha una scadenza. Tutte le donne sanno anche che l’infertilità non è una colpa. Anzi, è spesso un personalissimo dramma. Tutte le donne sanno che si può essere persone meravigliose senza necessariamente essere madri. Per scelta. E Tutte le donne sanno anche che, per assurdo, oggi l’essere madri è pure un’anatema sociale. Perché l’esserlo non ha ancora trovato un facile connubio con questa collettività.
Quella che se partorisci perdi il lavoro.
Quella che se vai al lavoro non sai dove lasciare i figli.
Quella che se entri in un ristorante col cane va bene ma coi figli ti guardano storto.
Quella che incita ad essere perfetti, magari plastificati, e non tollera i chili di più di sana ciccia e le imperfezioni che la maternità ti regala.
E non scomodiamo la storia che una volta, senza niente o con poco, facevano tanti figli. Quello è un mondo che non c’è più. Una società superata. È una questione educativa: le vostre figlie le crescereste con l’unico scopo di diventare brave mogli e brave madri? Non credo. Tanto basta.
L’unica è stendere un velo pietoso su questa campagna. Un telo da spiaggia va benissimo! Tanto, ormai, l’estate sta finendo.